Verso un’economia circolare

Riutilizzare, riciclare, rigenerare, recuperare: sono tanti i verbi virtuosi che concernono l’economia circolare, un modello pensato per auto-rigenerarsi all’infinito attraverso flussi chiusi di materiali biologici e tecnici in continua evoluzione.

di Erika Facciolla (Tuttogreen)

 

L’economia circolare è e deve essere intesa come un nuovo modo di produrre, utilizzare e ri-utilizzare beni e servizi recuperando tutte le risorse necessarie, senza più sprechi.

Si tratta di un approccio sistemico e olistico al concetto di riciclo dei rifiuti, con l’obiettivo di evitare quanto più possibile il conferimento in discarica di un bene. All’interno di questo circolo virtuoso, materia ed energia non vengono disperse ma trasformate e riutilizzate senza produrre scarti.

Si passa, in effetti, da una gestione lineare dei beni (produci-compra-usa-getta) ad una circolare, in cui nulla deve diventare un rifiuto.

I flussi di materiali biologici sono reintegrabili nella biosfera mentre quelli tecnici possono essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera.

In questo modo, i rifiuti di qualcuno diventano risorse per altri e il ciclo vitale dei beni si allunga esponenzialmente sovvertendo la cosiddetta obsolescenza programmata dei prodotti su cui è basata l’economia lineare.

E la rivoluzione parte anche dai consumatori non più intesi come proprietari di prodotti ma utilizzatori di servizi.

"Un circolo virtuoso in cui materia ed energia non vengono disperse ma trasformate e riutilizzate".

È quello che gli inglesi chiamano product-as-a-service: un sistema circolare in cui non si possiede un oggetto ma lo si usa come servizio per poi passarlo ad altri utilizzatori.

Oggi, ad esempio, una lavatrice è progettata per garantire mediamente 2.000 cicli di lavaggio. In un sistema economico basato sulla circolarità dei beni, dovrà garantire almeno 10.000 lavaggi ed essere utilizzata da più di un utente finale attraverso una filiera corta basata su logiche di affitto, riutilizzo o rivendita diretta.

Parliamo, dunque, di un modello economico studiato per autorigenerarsi all’infinito, che poi è anche un valore aggiunto per l’ambiente, per le imprese e le comunità locali.

 

Storia, evoluzione e principi fondamentali

L’idea di un’economia circolare viene introdotta per la prima volta nel 1976 in un rapporto presentato alla Commissione Europea dal titolo “The Potential for Substituting Manpower for Energy” redatto da Walter Stahel e Geneviève Reday.

Cogliendone tutte le potenzialità, l’UE ha poi avviato un percorso legislativo per mettere a punto una vera e propria agenda economica basata sui principi dell’economia circolare. L’ipotesi di risparmio è di 600 miliardi di euro, con ambiziosi obiettivi anti-spreco fissati per il 2030.

Entro quella data tutti gli Stati-membri dovranno essere in grado di riciclare il 65% dei rifiuti solidi urbani, il 75% degli imballaggi e ridurre al 10% del totale la quantità di rifiuti che vengono conferiti in discarica. A partire dal 2025, inoltre, scatterà anche il divieto di collocare in discarica i rifiuti riciclabili e biodegradabili.

L’assunto più importante su cui è basata l’economia circolare è che i rifiuti non esistono. Tutto ciò che oggi consideriamo uno scarto è destinato a trasformarsi in qualche altra cosa, fuori o dentro la biosfera.

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, diceva Eraclito, e in effetti il concetto è esattamente questo.

"L’economia circolare si basa sull’assunto che i rifiuti non esistono".

Altro principio fondamentale della circular economy è che la diversità è forza. Dai materiali utilizzati al design con cui gli oggetti vengono progettati, tutto deve essere sostenibile e ri-posizionabile all’interno di un flusso produttivo di tipo circolare appunto. E senza l’impiego di altro materiale o energia.

Se, per esempio, il telefono cellulare si rompe, deve essere progettato per essere facilmente smontabile e riciclabile, pezzo per pezzo. Così da diventare una nuova risorsa. E se le bottiglie saranno disegnate per essere riutilizzate invece che riciclate, rimarranno in casa assolvendo a tante altre funzioni.

Ogni fine corrisponde a un nuovo inizio. Non si getterà più il torsolo di una mela nella spazzatura perché può diventare fertilizzante e nutrire un altro albero che a sua volta produrrà nuove mele.

Se l’aspirapolvere o il televisore smettono di funzionare, non se ne compra uno nuovo, perché gli elettrodomestici devono essere pensati per essere riparati o ricostruiti secondo il principio della circolarità e dell’ottimizzazione.

E il ‘carburante’ che azionerà il motore di questa economia dovrà essere rigenerabile e sostenibile: l’energia utilizzata dovrà provenire necessariamente da fonti rinnovabili, come sole, vento, acqua e biomasse.

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Tornare al passato per costruire il futuro

A ben vedere, attivare un modello economico di questo tipo equivale semplicemente a recuperare i cicli naturali della Terra, ricordare come funzionano le forze che regolano la nostra esistenza sul Pianeta e sfruttarne a pieno l’efficienza e la riproducibilità.

Prima che le economie di scala prendessero il sopravvento, infatti, la produzione di qualsiasi bene o servizio era basata sul riciclo.

"Recuperare i cicli naturali della Terra e sfruttarne a pieno l’efficienza e la riproducibilità".

I nostri nonni, e ancor prima i loro padri, recuperavano qualsiasi cosa e in casa non si gettava via nulla. Con il letame degli animali si fertilizzavano i campi. Con l’olio avanzato si faceva il sapone. I vestiti venivano passati tra fratelli e parenti.

Tutto era destinato a durare, a trasformarsi quasi in eterno, fino a quando la rivoluzione industriale ha stravolto queste abitudini accorciando drasticamente il ciclo di vita dei beni. La cultura dell’usa-e-getta ha preso il sopravvento, dando vita ad un’enorme mole di sprechi e rendendo necessario un repentino ritorno al passato.

Per riuscirci, però, non bastano le buone pratiche dei consumatori/utilizzatori. Servono modelli di business basati sull’idea del design del riciclo e della riparazione, sistemi di baratto e condivisione, manifatture che smontano e riassemblano i vecchi oggetti. Esempi concreti sono i sistemi della cosiddetta sharing economy come AirBnB o BlaBlaCar che puntano su servizi e oggetti già in uso invece di crearne di nuovi.

Anche le Banche del Credito Cooperativo condividono questo modello economico circolare. Le BCC infatti destinano per legge almeno il 95% dei prestiti nella propria zona di competenza. Ovvero dove raccolgono il risparmio. In media, 84,5 euro su 100 di questo risparmio viene reinvestito dalle BCC per finanziare l’economia reale del territorio. Anche all’estero.

L’esempio più interessante di questo impegno è il progetto ‘Microfinanza Campesina’ attivo in Ecuador da 15 anni e è basato sull’Accordo di cooperazione culturale e finanziaria siglato tra Federcasse – a nome del Credito Cooperativo italiano – e banCODESARROLLO, realtà bancaria (cooperativa fino al 2014, oggi spa) che si dedica a favorire l’accesso al credito alle fasce più povere della popolazione.

Nell’ambito del progetto si offrono assistenza tecnica e finanziamenti che sfruttano la formula del micro-credito per sostenere le economie e le popolazioni locali, soprattutto indios e campesinos.

Questo sistema di finanziamento si avvale dell’ausilio di centinaia di casse rurali che erogano crediti di piccola e media entità in forma comunitaria attraverso i cosiddetti “circoli di credito”. L’obiettivo è trattenere in loco la ricchezza prodotta, realizzando un´economia circolare che crei sviluppo nelle campagne e nelle aree marginali delle città.

 

 

 

 

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