Sovranità alimentare: un diritto che nutre il pianeta

Nel 1948 la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sanciva l’accesso al cibo quale principio fondamentale alla base della sicurezza alimentare di tutti i popoli.

Un diritto, dunque, non subordinabile alle logiche di mercato, né alle politiche neo-liberaliste imposte negli ultimi decenni dalla globalizzazione.

 

di Erika Facciolla (Tuttogreen)

Ma cosa si intende per sicurezza alimentare e che relazione c’è con il concetto di sovranità alimentare? La FAO definisce la prima come una condizione che si realizza quando “tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico ed economico ad una quantità di cibo sufficiente, sicuro e nutriente.

Il presupposto di tale condizione è che ad ogni comunità venga riconosciuta la possibilità di definire e attuare le proprie politiche agrarie, di proteggere e regolamentare la produzione e il mercato locale, di perseguire uno sviluppo sostenibile e funzionale al proprio sostentamento.

Ecco quindi svelata l’indissolubilità fra il diritto universale di avere accesso ad un cibo sufficiente, sicuro e nutriente e la necessità di difendere tale diritto con politiche adeguate, che siano eque e solidali per tutti.

Questo orientamento è stato definito ufficialmente nel 2007 durante il Forum di Nyéléni per la Sovranità Alimentare e oggi costituisce il primo articolo di un documento internazionale elaborato e sottoscritto da innumerevoli associazioni, ONG ed enti autonomi. In esso si stabilisce che:

"La sovranità alimentare è il diritto dei popoli ad un cibo sano e culturalmente appropriato".

“La sovranità alimentare è il diritto dei popoli ad un cibo sano e culturalmente appropriato, prodotto attraverso metodi ecologici e sostenibili, nonché il diritto a definire i propri sistemi alimentari e modelli di agricoltura. La sovranità alimentare dà priorità all’economia e ai mercati locali e nazionali, privilegia l’agricoltura familiare, la pesca e l’allevamento tradizionali, così come la produzione, la distribuzione e il consumo di alimenti basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica”.

 

 

I rischi del Global Food System

A partire dagli anni Ottanta e Novanta si è assistito ad una progressiva riduzione degli investimenti statali nell’agricoltura locale e si è posta molta enfasi sull’agro-esportazione, soprattutto con l’apertura del commercio e del libero scambio che ha via via privato il cibo dei suoi contenuti etici e sociali riducendolo a semplice ‘merce’.

Di contro, il costo degli alimenti di base sui mercati ha iniziato a lievitare minacciando seriamente la sopravvivenza di milioni di persone ed esponendoli ad una vera e propria crisi alimentare. Basti pensare che in un solo anno, tra il 2007 e il 2008, la quotazione del grano è raddoppiata, quella del mais è aumentata di un terzo e il prezzo del riso – che è anche l’alimento-base per la metà della popolazione mondiale – è salito di un ulteriore 31% rispetto ai precedenti aumenti. Ai danni appena citati, si aggiunga che:

  • Le famiglie contadine nei paesi in Via di Sviluppo e del Terzo Mondo sono state espulse dai loro territori, espropriate dei terreni e private dell’unica fonte di sostentamento a loro accessibile (Land e Water Grabbing).
  • Milioni di contadini sono stati estromessi dalla gestione di beni e risorse produttive come la terra, l’acqua, le sementi, le tecnologie e le conoscenze agrarie.
  • Il consumo dei suoli e l’inurbamento hanno assunto proporzioni allarmanti in diverse regioni del Pianeta.
  • La dipendenza alimentare di molti stati è aumentata e con essa il ricorso alle importazioni.
  • Tutto il potere in materia alimentare è finito in mano a una stretta cerchia di imprese, multinazionali ed organismi multilaterali, che monopolizzano prezzi e politiche agrarie e che danno vita a paradossi come obesità e sprechi alimentari – soprattutto tra le comunità più povere – nelle nazioni più ricche, e denutrizione e fame nelle nazioni più povere.

"La sovranità alimentare è una questione di diritti, di democrazia e di libertà".

Un sistema economico che crea eccedenze e sprechi da una parte e moltiplica fame e vulnerabilità dall’altra non può definirsi democratico. La sovranità alimentare è, dunque, una questione di diritti, di democrazia e di libertà che ruota attorno alla funzione sociale del cibo, nonché al bisogno di tutelare la biodiversità e le colture autoctone in maniera ecologicamente ed economicamente sostenibile.

Ma è anche un problema etico e di responsabilità rispetto alle scelte che si stanno percorrendo e che accende inevitabilmente il dibattito sugli OGM.

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OGM, si o no?

La domanda che molti si pongono è, sostanzialmente, se il cibo proveniente da Organismi Geneticamente Modificati possa davvero essere considerato sicuro, sostenibile e culturalmente appropriato. Se sia la risposta migliore alla crisi alimentare e alla fame nel Mondo.

"Esiste un problema etico inerente l’inviolabilità dei valori insiti negli organismi naturali".

Esiste poi un problema etico inerente l’inviolabilità dei valori insiti negli organismi naturali, che si pone quando il patrimonio genetico di un organismo viene modificato con l’impianto di geni appartenenti ad un’altra specie.

Al di là delle considerazioni scientifiche sulla presunta sicurezza degli alimenti OGM e delle ragioni di chi è a favore e chi contro, la realtà pone quindi delle evidenze inconfutabili e difficilmente ignorabili:

  • Le sementi geneticamente modificate per produrre piante sterili costringono i contadini a ricomprare i semi dalla stessa multinazionale che ne decide arbitrariamente il prezzo.
  • A produrre OGM sono le stesse multinazionali che stanno sfruttando selvaggiamente le risorse naturali del Pianeta. Le stesse compagnie che con le loro politiche speculative schiacciano economicamente i popoli più deboli esponendoli al rischio di fame e denutrizione. Che manovrano il mercato agroalimentare influenzando profondamente la distribuzione delle risorse e del cibo.
  • Gli OGM negano il valore della biodiversità e ne favoriscono la distruzione. Una tendenza tracciata dall’industrializzazione massiccia dell’agricoltura che, secondo la FAO, ha già eroso il 75% di biodiversità e prodotto danni ambientali e sanitari incalcolabili.
  • Nei paesi dove gli OGM vengono coltivati da tempo in modo estensivo, come USA e Argentina, il fallimento economico si è già palesato: la resa per ettaro delle coltivazioni non è aumentata e l’agricoltura tradizionale è stata spazzata via con gravi danni per gli ecosistemi e le comunità autoctone.

 

Cosa serve per nutrire il Pianeta

Per molte organizzazioni e movimenti agrari indipendenti, la battaglia contro gli OGM è una battaglia per la sovranità dei popoli sui modelli di produzione, distribuzione e consumo del cibo.

È un rifiuto ad un modello economico basato sullo sfruttamento e sull’omologazione che nega ai piccoli produttori locali il diritto di scegliere cosa e come produrre.

Per questi ed altri motivi, le associazioni contadine di tutto il mondo si sono riunite nel Movimento Internazionale di Via Campesina che nel 1996 ha portato per la prima volta all’attenzione dei potenti il tema della sovranità alimentare intesa come unico modello alternativo a quello attuale per uscire dalla crisi alimentare e dalle logiche economiche che l’hanno determinata.

L’idea di base è che le risorse naturali tornino ad essere considerate un bene collettivo, che vengano restituite ai contadini e che non siano più un’esclusiva delle lobby occidentali.

C’è bisogno di una governance del sistema agroalimentare che tuteli la vera prerogativa del cibo, che è quella di essere un diritto, prima ancora che una merce, e che riconosca il ruolo dei produttori agricoli e delle loro organizzazioni all’interno delle economie locali.

"è necessaria una netta inversione di tendenza, verso un modello economico e produttivo basato su un tipo di agricoltura ecologicamente sostenibile, tradizionale e contadina".

In altre parole, è necessaria una netta inversione di tendenza, verso un modello economico e produttivo basato su un tipo di agricoltura ecologicamente sostenibile, tradizionale e contadina, che non neghi il libero scambio ma che dia priorità a pratiche commerciali tese a preservare i diritti della comunità locale.

Parallelamente, occorrono politiche più eque e solidali che garantiscano ai piccoli produttori remunerazioni dignitose e che li proteggano dalle speculazioni di un mercato che tende a privilegiare l’agro-alimentare di importazione a basso prezzo o a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati nel mercato nazionale (dumping).

È  il caso del Messico – uno dei principali produttori mondiali di cereali – che è praticamente costretto ad importare mais americano pagandolo meno di quel che costa sul mercato locale.

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Per fare l’albero ci vuole il seme…

Il problema del monopolio del mercato delle sementi – in mano a 5-6 corporation – è una delle chiavi di lettura più illuminanti dell’intera questione.

Le grandi potenze occidentali, in primis l’Europa, considerano la selezione genetica sulle sementi praticata da queste multinazionali al pari di un’invenzione, di un brevetto, che può essere venduta e immessa sul mercato come una proprietà intellettuale e che di fatto estromette i contadini e le piccole imprese dal libero approvvigionamento delle sementi. Questo mina le micro-produzioni, impoverisce i piccoli produttori e mette a serio rischio la biodiversità.

Non stupisce, quindi, che dal 1998 in Europa sia in vigore una direttiva comunitaria che vieta addirittura la circolazione di sementi tradizionali non iscritte al Catalogo Ufficiale. Ma l’assenza di un certo seme dal catalogo non vuol dire che tale seme non sia idoneo a produrre cibo buono, sano e nutriente, perché le norme che regolano l’iscrizione non tutelano la qualità delle colture o la salubrità delle piante, ma la loro produttività e le logiche commerciali che ne regolano la circolazione sul mercato.

"Il seme è simbolicamente e materialmente il primo anello della catena alimentare umana".

Il seme è simbolicamente e materialmente il primo anello della catena alimentare umana. Il cibo che mangiamo e che ci ha nutrito per generazioni proviene da colture agricole e sementi che si sono tramandate nei secoli dai contadini di tutto il Mondo.

Sono queste tradizioni che hanno reso possibile la biodiversità e che hanno consentito alle piante di adattarsi alla variabilità dei suoli, dei climi e alle necessità umane.

È quindi fondamentale restituire ai contadini il diritto a possedere risorse e conoscenze, a scambiarsi e riprodurre sementi, a praticare la pesca e l’agricoltura secondo metodi tradizionali ed ecologicamente sostenibili.

Anche la filosofia che ispira le iniziative delle Banche del Credito Cooperativo è come un albero: nasce dal seme della conoscenza di un territorio, ha radici ben sviluppate nel suolo e i suoi frutti restano alla comunità. Per le BCC il territorio è linfa e deve essere nutrito giorno dopo giorno attraverso un sistema finanziario basato sui principi del localismo e della distribuzione equa e solidale delle risorse.

 

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